Numerosi studi scientifici hanno confermato il ruolo importante e positivo dell’esposizione precoce agli acidi grassi polinsaturi, soprattutto della serie omega-3, EPA (acido eicosapentaenoico) e DHA (acido docosaesaenoico), nello sviluppo dei bambini e nella regolazione epigenetica, soprattutto in termini di prevenzione di alcune delle più importanti malattie metaboliche quali obesità, insulino-resistenza e rischio cardiovascolare.

Thank you for reading this post, don't forget to subscribe!

Il DHA è un costituente importante soprattutto del cervello e della retina. Benché l’organismo umano sia dotato degli enzimi necessari per la sua sintesi a partire dal precursore, l’acido alfa-linolenico (o ALA), vi sono chiare evidenze sperimentali che dimostrano che la quantità di DHA prodotto dall’organismo è insufficiente a garantirne adeguati livelli tissutali. È dunque necessario che vengano introdotti con la dieta quantità consistenti di EPA e DHA preformati e oltre che di ALA.

Quest’ultimo, che è un componente minore di quasi tutti i vegetali ed è pertanto ubiquitario negli alimenti, è presente in concentrazioni elevate in alcuni oli (ad esempio canola, soia), nelle noci e in misura minore nei vegetali, soprattutto nella verdura a foglia verde come gli spinaci, nei legumi e nei cereali.

Gli omega-3 a lunga catena EPA e DHA sono presenti in concentrazioni elevate solo nei pesci e soprattutto nei pesci grassi, che vivono nei mari freddi, in quantità e in proporzioni variabili. Ad esempio, sgombro, acciuga e salmone rappresentano fonti importanti di omega-3 (1,3-2 g in 100 g); va tuttavia ricordato che il rapporto tra EPA e DHA è molto variabile, da 1:3 per lo sgombro a 1:1 per il salmone18 (Tab. 1).

Alcuni cibi di origine vegetale possono contribuire all’apporto degli omega-3 a lunga catena in minima parte e quindi diete prive o povere di pesce, come in generale le diete occidentali, sono perlopiù carenti di DHA oltre che di EPA.

La tipica dieta occidentale apporta quantità relativamente modeste di omega-3, molto probabilmente inadeguate a svolgere la loro azione protettiva per l’organismo dalle malattie cronico-degenerative.

Secondo i risultati di uno studio italiano, circa l’80% della popolazione non assume la quota giornaliera di EPA e DHA consigliata dalle linee guida internazionali (250-500 mg al giorno).

Un recente parere dell‘EFSA sul rapporto rischio/beneficio relativo al consumo di pesce indica che da 1-2 porzioni fino a 3-4 porzioni di pesce alla settimana durante la gravidanza garantiscono l’apporto adeguato al corretto sviluppo del bambino, sottolineando che questi livelli di consumo non comportano alcun rischio significativo in termini di contaminazione da metilmercurio.

Il rapporto EFSA, poi, conclude affermando che un consumo superiore alle 3-4 porzioni di pesce a settimana non porta alcun beneficio sullo sviluppo delle strutture cerebrali e retiniche del bambino.

La scelta del pesce per le nutrici deve cadere su carni di pesce relativamente grasse e ricche di EPA e DHA e a basso rischio di contenere contaminanti ambientali. Bisogna quindi preferire pesci di taglia piccola (pesce azzurro come sarde, alici, sgombro) piuttosto che pesci di grossa taglia che tendono ad accumulare contaminanti.

I benefici del DHA per il feto sono supportati da un’ampia letteratura scientifica in materia, che conferma l’importanza dei livelli di assunzione di omega-3 per la salute della madre, con conseguente riduzione del rischio di parto prematuro e di depressione post partum, oltre a benefici per la composizione del latte materno e per la salute del lattante.

Secondo l’EFSA e i LARN 2014 il fabbisogno di DHA aumenta di 100-200 mg al giorno durante gravidanza e allattamento, rispetto ai 200 mg indicati come fabbisogno giornaliero di omega-3 (EPA e DHA) nelle donne non in gravidanza o allattamento.

Studi hanno dimostrato che l’incremento del tenore di DHA nel latte materno coincida con un miglior quadro di salute generale del lattante, soprattutto in termini di sviluppo cognitivo e acuità visiva.

Livelli plasmatici eccessivamente bassi di DHA sono stati riscontrati in donne che assumono diete esclusivamente vegetariane o che non hanno un adeguato apporto di pesce e in popolazioni particolari, come quella delle mamme che mantengono l’abitudine al fumo sia durante la gravidanza, sia nel corso dell’allattamento. E’ stato infatti osservato che i nati da donne fumatrici sono più piccoli per età gestazionale alla nascita e presentano livelli circolanti di DHA sensibilmente ridotti rispetto ai nati da madri non fumatrici; nel periodo postnatale, invece, il fumo materno è stato messo in relazione con un ridotto apporto dello stesso DHA col latte al neonato.

Alimentazione in gravidanza
Popolarità: 0
€5.00